Siamo tornati, non eravamo in ferie ma solo problemi con il nostro blog, da oggi si ricontinua; se qualcuno vuole scrivere si prega di inviarci il testo. C'era una volta un re che aveva una figlia ammirata da tutti per la sua bellezza e bontà.
Molti venivano a offrirle gioielli, stoffe preziose, noci di kola, sperando d'averla come sposa. Ma la giovane non sapeva decidersi.
- A chi mi concederai? - chiese a suo padre.
- Non so - disse il padre - Lascio scegliere a te: sono sicuro che tu, giudiziosa come sei, farai la scelta migliore.
- Facciamo così - propose la giovane - Tu fai sapere che sono stata morsa da un serpente velenoso e sono morta. I membri della famiglia reale prenderanno il lutto. Suoneranno i tam-tam dei funerali e cominceranno le danze funebri. Vedremo cosa succederà.
Il re, sorpreso e un po' controvoglia, accettò.
La triste notizia si diffuse come un fulmine. Nei villaggi fu un gran parlare sommesso, spari di fucile rintronavano in segno di dolore, mentre le donne anziane, alla porta della stanza mortuaria, sgranavano le loro tristi melopee. Ed ecco arrivare anche i pretendenti della principessa. Si presentarono al re e pretesero la restituzione dei beni donati.
- Giacché tua figlia è morta, rendimi i miei gioielli, le stoffe preziose, le noci di kola.
Il re accontentò tutti, nauseato da un simile comportamento. Capì allora quanto sua figlia fosse prudente.
Per ultimo si presentò un giovanotto, povero, come appariva dagli abiti dimessi che indossava.
Con le lacrime agli occhi egli disse:
- O re, ho sentito la dolorosa notizia e non so come rassegnarmi. Porto queste stoffe per colei che tanto amavo segretamente. Non mi ritenevo degno di lei. Desidero che anche nella tomba lei sia sempre la più bella di tutte. Metti accanto a lei anche queste noci di kola perché le diano forza nel grande viaggio.
Il re fu commosso fino al profondo del cuore. Si presentò alla folla, fece tacere ogni clamore e annunciò a gran voce:
- Vi do una grande notizia: mia figlia non è morta. Ha voluto mettere alla prova l'amore dei suoi pretendenti. Ora so chi ama davvero e profondamente mia figlia. E' questo giovane! E' povero ma sincero.
Dopo qualche tempo si celebrarono le nozze con la più bella festa mai vista a memoria d'uomo.
I vecchi pretendenti non c'erano e non si fecero più vedere.
Massimo Amici di Bedanda
Noi siamo gli "Amici di Bedanda" della provincia di Venezia e Treviso molti già volontari in missione in Guinea Bissau, il nostro intento è di creare una catena di solidarietà assieme alle Suore Francescane di Cristo Re, presenti a Bedanda dal gennaio del 1986. Fin dall'inizio le suore si sono impegnate nei due settori più dimenticati e, senza i quali, non ci può essere sviluppo e crescita di un popolo: SALUTE e ISTRUZIONE. Noi vogliamo realizzare alcuni progetti con l'aiuto di tutti.
giovedì 30 giugno 2011
venerdì 20 maggio 2011
STORIE D'AFRICA................

Favola Prova d'amore
Fiabe e favole africane per bambini.
Il racconto etnico africano: Prova d'amore
C'era una volta un re che aveva una figlia ammirata da tutti per la sua bellezza e bontà.Molti venivano a offrirle gioielli, stoffe preziose, noci di kola, sperando d'averla come sposa. Ma la giovane non sapeva decidersi.
- A chi mi concederai? - chiese a suo padre.
- Non so - disse il padre - Lascio scegliere a te: sono sicuro che tu, giudiziosa come sei, farai la scelta migliore.
- Facciamo così - propose la giovane - Tu fai sapere che sono stata morsa da un serpente velenoso e sono morta. I membri della famiglia reale prenderanno il lutto. Suoneranno i tam-tam dei funerali e cominceranno le danze funebri. Vedremo cosa succederà.
Il re, sorpreso e un po' controvoglia, accettò.
La triste notizia si diffuse come un fulmine. Nei villaggi fu un gran parlare sommesso, spari di fucile rintronavano in segno di dolore, mentre le donne anziane, alla porta della stanza mortuaria, sgranavano le loro tristi melopee. Ed ecco arrivare anche i pretendenti della principessa. Si presentarono al re e pretesero la restituzione dei beni donati.
- Giacché tua figlia è morta, rendimi i miei gioielli, le stoffe preziose, le noci di kola.
Il re accontentò tutti, nauseato da un simile comportamento. Capì allora quanto sua figlia fosse prudente.
Per ultimo si presentò un giovanotto, povero, come appariva dagli abiti dimessi che indossava.
Con le lacrime agli occhi egli disse:
- O re, ho sentito la dolorosa notizia e non so come rassegnarmi. Porto queste stoffe per colei che tanto amavo segretamente. Non mi ritenevo degno di lei. Desidero che anche nella tomba lei sia sempre la più bella di tutte. Metti accanto a lei anche queste noci di kola perché le diano forza nel grande viaggio.
Il re fu commosso fino al profondo del cuore. Si presentò alla folla, fece tacere ogni clamore e annunciò a gran voce:
- Vi do una grande notizia: mia figlia non è morta. Ha voluto mettere alla prova l'amore dei suoi pretendenti. Ora so chi ama davvero e profondamente mia figlia. E' questo giovane! E' povero ma sincero.
Dopo qualche tempo si celebrarono le nozze con la più bella festa mai vista a memoria d'uomo.
I vecchi pretendenti non c'erano e non si fecero più vedere.
Massimo "amici di Bedanda"
martedì 3 maggio 2011
VOLONTARI?SI GRAZIE
CARI AMICI DI FACEBOOK AVRETE NOTATO SULLA VOSTRA PAGINA UNA PUBBLICITA' PER DIVENTARE "VOLONTARI MENAGER"..........RIDO A QUESTA NOTIZIA MA SONO ANCHE INCAZZATISSIMO PER QUESTO ANNUNCIO.
MENAGER VOLONTARIO????MA CHE SIGNIFICA????FORSE UN CENTRO A PAGAMENTO?? MA PER DIVENTARE COSA????FORSE QUALCHE ALTRA TROVATA PER SPILLARE SOLDI PER PRESUNTI CORSI DI FORMAZIONE????VUOI ESSERE VOLONTARIO????......BENE......FATTI IL BIGLIETTO AEREO VIENI IN AFRICA IN GUINEA BISSAU...........NON SERVE NULLA...........SOLO LAVORARE E AIUTARE. ALZARSI ALLA MATTINA PREPAPRARE LA COLAZIONE AI BAMBINI......LAVARLI.....GIOCARE CON LORO.....SORRIDERE......BACIARE......EDUCARLI.......NON SERVONO CORSI DI FORMAZIONE.................SERVE SOLO METTERE LA PROPRIA VITA E TEMPO AL SERVIZIO DI CHI HA BISOGNO.
DI MENAGER IL MONDO E' STRACOLMO............DI VOLONTARI INVECE CE NE SONO ANCORA POCHI
Massimo "Cercu Iabri"
MENAGER VOLONTARIO????MA CHE SIGNIFICA????FORSE UN CENTRO A PAGAMENTO?? MA PER DIVENTARE COSA????FORSE QUALCHE ALTRA TROVATA PER SPILLARE SOLDI PER PRESUNTI CORSI DI FORMAZIONE????VUOI ESSERE VOLONTARIO????......BENE......FATTI IL BIGLIETTO AEREO VIENI IN AFRICA IN GUINEA BISSAU...........NON SERVE NULLA...........SOLO LAVORARE E AIUTARE. ALZARSI ALLA MATTINA PREPAPRARE LA COLAZIONE AI BAMBINI......LAVARLI.....GIOCARE CON LORO.....SORRIDERE......BACIARE......EDUCARLI.......NON SERVONO CORSI DI FORMAZIONE.................SERVE SOLO METTERE LA PROPRIA VITA E TEMPO AL SERVIZIO DI CHI HA BISOGNO.
DI MENAGER IL MONDO E' STRACOLMO............DI VOLONTARI INVECE CE NE SONO ANCORA POCHI
Massimo "Cercu Iabri"
sabato 23 aprile 2011
.............AFRICA CULLA DELL'UMANITA'
BUONA PASQUA A TUTTI !!!!!
La ricostruzione storica dell’Africa incontra l’ostacolo delle fonti scritte essendo il popolo africano caratteristico della “civiltà della parola”. In molte parti del continente, soprattutto nella cosiddetta “Africa nera” (a sud del Sahara ), i primi scritti appaiono soltanto con l’arrivo degli arabi, per raddoppiarsi poi con la presenza degli europei. Ad ogni modo nonostante la mancanza di fonti scritte anche l’Africa ha ricostruito la sua storia tramandandola nei racconti orali e mantenendola nella memoria collettiva attraverso l’esperienza umana dei suoi abitanti.L’Africa è considerata oggi senza alcun dubbio la “culla dell’umanità” essendo stata abitata già 6 millenni prima di Cristo, ma l’ambiente ostile allo sviluppo dell’agricoltura, la bassa resa dei suoli, le grandi distanze, la povertà e l’arretratezza dei mezzi di trasporto sono state difficoltà che sin da subito hanno mantenuto il continente africano in una posizione di sottosviluppo rispetto al resto del mondo. Spesso le difficoltà legate al clima e all’ambiente sono state poste alla base delle giustificazioni con le quali si è cercato di spiegare le cause dell’inferiorità economica e culturale del paese. Alla scarsezza dell’acqua e ai problemi legati al clima si aggiunse la povertà del suolo che non bastava per il sostentamento della popolazione costretta a continui spostamenti.
I primi abitanti del continente furono pastori e agricoltori che occuparono diversi tipi di habitat formando delle società semplici. Una delle caratteristiche dell’Africa è quella che, a differenza di quanto avvenne nelle altre parti del mondo, la pastorizia ha preceduto l’agricoltura, che è nata molto più tardi e spesso ad integrazione dell’allevamento; inoltre l’agricoltura in Africa, ad eccezione dell’ Egitto e del Maghreb, si è sempre basata sulla produzione di cereali non ad alta resa.
L’espansione delle popolazioni bantu mostra come anche in Africa ci sia stato un avanzamento degli agricoltori a scapito dei cacciatori. Ad ogni modo, sia l’agricoltura, sia la pastorizia sono sempre state a rischio viste le numerose e frequenti malattie che colpivano l’uomo e il bestiame; di fronte a queste difficoltà molte popolazioni si sono estinte senza lasciare significative tracce.
In alcune aree del continente, almeno fino al 1500, si è spesso creato tra pastori e agricoltori un sistema di scambi e sinergie che ha permesso loro di sopravvivere.
In Africa molte vie commerciali, quali quelle attraverso il Sahara o quelle sulle coste orientali (mar Rosso), erano attive già da tempi molto antichi e vennero poi intensificate sia con l’introduzione del cammello che con l’arrivo degli arabi. Il commercio di quegli anni riguardava principalmente il sale, l’oro e gli schiavi.
Sulle coste dell’Africa nacquero delle vere e proprie città-stato in cui convivevano elementi indigeni e arabi, dall’incontro dei quali ebbero origine alcune culture, una fra tutte quella swahili.
Alla luce di quanto detto, l’Africa, già prima dell’arrivo degli europei, era inserita in un complesso sistema commerciale che abbracciava anche gli stati europei, quelli arabi e quelli del lontano Oriente. Come dimostrarono poi le vicende che coinvolsero i paesi africani negli anni, fu proprio la presenza nel continente di beni pregiati ad alimentare l’esplorazione, il controllo e lo sfruttamento dei territori africani da parte degli europei.
Accanto a molte società rette da capi, l’Africa conobbe anche un’ampia gamma di stati precoloniali. L’ Egitto , ad esempio, per tutto questo primo periodo della storia africana, è stato molto ambito tanto da dover subire diverse dominazioni senza però mai perdere la sua forma di stato centralizzato; una sua diretta filiazione può essere considerato lo stato di Kush e il regno di Assum, le cui vicende dinastiche portarono alla formazione del regno etiopico.
Dopo la nascita dell’Islam, sorsero un’altra vasta gamma di stati africani di derivazione araba: i sultanati del Maghreb, l’Egitto arabo, le città-stato swahili.
Per quanto riguarda invece gli stati dell’Africa subsahariana è possibile distinguere varie tipologie e raggruppamenti; mentre nell’Africa occidentale le forme statali più antiche risalgono al 400 d.C.
Nell’Africa centrale, i primi regni nascono tra il 1300 e il 1400 d.C. e alcuni sopravvivono fino all’arrivo degli europei. L’Africa meridionale adotta invece il sistema della società stratificata e statale tra il 650 e 900 d.C.
Gli stati dell’Africa centrale e meridionale, rispetto a quelli dell’Africa occidentale, non hanno quasi rapporti con il mondo musulmano.
L’arrivo degli europei ebbe delle conseguenze spesso disastrose sia sulle popolazioni sia sul territorio, con loro si assiste allo sviluppo delle guerre di razzia. Uomini di origine africana venivano prelevati dai loro sistemi sociali semplici per essere venduti come schiavi all’interno delle maggiori direttrici di traffici del continente; questo fenomeno incentivò e sviluppò i conflitti tra popolazioni diverse e contro le etnie più deboli economicamente e meno protette dalla loro organizzazione sociale. La presenza degli europei modificò il carattere di queste guerre.
Gli schiavi venivano venduti per lo più nel mondo arabo ma erano anche utilizzati in altre realtà africane.
Il commercio degli schiavi assunse una dimensione triangolare che per oltre tre secoli coinvolse tre diversi continenti: l’Europa forniva ai capi africani tessuti, acquavite e armi da fuoco; l’Africa schiavi all’America; e quest’ultima metalli preziosi, materie prime e prodotti coloniali all’Europa. Per tre secoli la tratta degli schiavi fornì all’Europa il necessario accumulo di capitale grazie al quale larghi strati della sua popolazione riuscirono a raggiungere un elevato tenore di vita. Agli inizi dell’800 emersero vari fenomeni che condussero alla progressiva abolizione della schiavitù; uno di questi fu la diffusione degli ideali trasmessi dalla civiltà dei Lumi. La prima nazione a mettere in atto il bando fu l’Inghilterra (1807) seguita dagli Stati Uniti (1808), dall’Olanda (1814) e dalla Francia (1817). Oltre alla diffusione di nuovi ideali contribuirono anche motivi economici.
Il commercio degli schiavi coinvolse inoltre arie amplissime dell’entroterra, aumentando la frequenza di guerre e l’uso di violenza e sopraffazione. La maggior parte delle società semplici scomparvero in seguito alle guerre tra gli stati che perseguivano fini espansionistici; la presenza degli europei produsse il genocidio di alcune popolazioni. Nello stesso periodo nacque una nuova identità etnica basata sul conflitto e sull’individuazione degli “altri” come ostili. Questo diffuso stato di violenza venne incentivato e sostenuto dagli europei che si preparavano alla conquista del territorio, giustificata con la necessità di portare forme di civiltà più avanzata al popolo selvaggio africano.
L’Africa divenne così il territorio dove le potenze europee si confrontavano per dare prova della loro forza economica; colonizzare l’Africa diventava una vera e propria missione.
Nel 1869 venne completato il canale di Suez e questo segnò una svolta accelerante della tensione tra Gran Bretagna e Francia aggravata in seguito dall’entrata in scena del Belgio e della Germania.
La conferenza di Bruxelles, convocata da Leopoldo II nel 1876, diede il via alla spartizione dell’Africa che avvenne però in modo disordinato e rapido.
Di fronte all’aggressività europea gli stati africani cercarono di resistere ma in modo debole, tanto da lasciare spazio a forme di collaborazione messe in atto da ristrette élite locali che arrivarono a chiedere alle nazioni occupanti aiuto e protezione contro i nemici interni.
In concomitanza con l’occupazione europea si abbatté sulle popolazioni africane una catastrofe ecologica che produsse impoverimento, carestia, siccità ed epidemie.
Nella zona dell’Africa occidentale l’antagonismo anglo-francese coinvolse e sconvolse le società africane. Alla vigilia della prima guerra mondiale la nuova geopolitica dell’Africa occidentale era la seguente: Senegal , Costa d’Avorio , Guinea , Mauritania , Alto Volta, Niger , Dahomey, Ciad, parte del Congo si trovavano sotto la dominazione francese; Gambia, Sierra Leone, Costa d’Oro, Nigeria diventavano colonie inglesi; Togo e Camerun erano colonie tedesche. L’unico stato a rimanere indipendente era la Liberia che venne proclamata repubblica indipendente nel 1847.
Per quanto riguarda l’Africa orientale, fino al 1884, non risultò esserci stato nessun insediamento europeo, tranne per quanto riguarda il Mozambico occupato sin dal XVI secolo dal Portogallo e, il Madagascar a cui era interessata la Francia.
Nell’Africa centrale si assistette invece ad un brutale sfruttamento delle popolazioni locali impiegate nella produzione della gomma naturale importante per la produzione di pneumatici.
L’Africa Meridionale, ricca di risorse minerarie, attirò una forte emigrazione di coloni tedeschi che ad ogni modo incontrarono l’opposizione delle popolazioni di coltivatori e allevatori.
Il colonialismo africano può essere diviso in tre fasi: quella antecedente alla prima guerra mondiale durante la quale si assistette allo sfruttamento senza freni del territorio e della popolazione; con la prima guerra mondiale, le cose cambiarono poiché ci si pose il problema della legittimità stessa del colonialismo basato sullo sfruttamento delle popolazioni. In seguito all’intervento della Società delle Nazioni, che affermò il diritto dei popoli ad una espressione libera della loro sovranità, le potenze coloniali cominciarono a cercare uno scopo e una filosofia che avrebbe dovuto giustificare agli occhi del mondo i loro interventi nel Continente africano. L’ultima fase del dominio coloniale fu quella a ridosso della seconda guerra mondiale fino all’indipendenza della maggior parte degli stati africani. La guerra registrò un forte coinvolgimento non solo dei popoli africani ma anche del territorio stesso. Negli anni successivi al conflitto mondiale, le potenze europee intervennero in modo sempre più pressante nella storia e nelle vicende sociali delle colonie; si assistette ad una vera e propria invasione di personale tecnico europeo nel continente africano.
Dopo la guerra la Francia e la Gran Bretagna diedero vita ad una serie di riforme che avrebbero dovuto accelerare la modernizzazione dell’Africa avviando una decolonizzazione senza scosse. In questo periodo aumentò lo sfruttamento delle risorse presenti nel territorio africano. La nuova logica dei colonizzatori europei prevedeva da una parte, lo sfruttamento, dall’altra il coinvolgimento degli strati superiori della popolazione ai quali veniva data la possibilità di ricoprire ruoli politici e di poter usufruire dell’istruzione e della formazione offerta dagli stessi europei. Ad ogni modo fu proprio questa parte di popolazione “privilegiata” a rivoltarsi contro i colonizzatori, innescando il processo delle indipendenze. I leader nazionalisti erano tutti occidentalizzati e grazie alla formazione ricevuta al di fuori del loro continente avevano assorbito l’idea che il problema dell’Africa era il mancato aggancio alla modernità e al progresso, per questo si scagliarono contro le dinamiche dei villaggi basati sulle credenze e le superstizioni viste come ostacolo a ogni proposito di unità contro il nemico comune.
L’esperienza della guerra mondiale ebbe anche l’effetto di mostrare agli stessi africani che i bianchi non erano invincibili.
In varie parti dell’Africa si assistette al sorgere delle prime rivolte: in Sudafrica si verificarono i primi scioperi tra i minatori e gli addetti alla costruzione delle ferrovie, nell’Africa equatoriale francese si assistette poi alla rivolta di 350.000 Baya e in Egitto si consolidò anche ideologicamente il movimento nazionalista africano.
Dal punto di vista culturale si diffuse il movimento panafricano, che si sviluppò tra la popolazione nera degli Stati Uniti e dei Carabi.
L’aggressione nazista e fascista e la seconda guerra mondiale divennero poi delle vere e proprie scuole di internazionalismo e accelerarono le spinte anticolonialistiche.
La guerra quindi acculturò e addestrò i soldati neri che vennero impegnati sui vari fronti e mostrò la debolezza delle potenze coloniali che si dissanguarono vicendevolmente.
Contribuirono alla costruzione dei movimenti indipendentisti africani due avvenimenti diplomatico culturali.
Il primo fu l’incontro tra Roosevelt e Churchill del 1941 che condusse alla formulazione della Carta Atlantica nella quale venne fatto un preciso riferimento all’autodeterminazione delle colonie, alla libera circolazione delle merci e al libero accesso alle materie prime. Il secondo fu il Congresso Panafricano che si tenne a Manchester nel 1945 durante il quale i massimi esponenti del movimento approvarono un documento dal quale emerse la volontà del popolo africano di “essere libero”.
La fine della guerra e l’ultimo periodo coloniale consegnano agli africani una divisione in Stati che non aveva nulla a che vedere con una effettiva dimensione nazionale e culturale.
Il movimento indipendentista vide le prime indipendenze africane già negli anni ’50: Libia 1951, Marocco , Tunisia, Sudan, 1956, Ghana, 1957. Il 1960 fu l’anno dell’Africa: 17 paesi diventarono indipendenti in quell’anno e ottennero un seggio alle Nazioni Unite.
A questa prima ondata d’indipendenze fece seguito a partire dalla metà degli anni ’70 una seconda fase che si distinse dalla prima per le caratteristiche di lotta armata. Forti resistenze alla decolonizzazione si verificarono sia nelle colonie di popolamento europeo, dove la borghesia locale d’origine europea cercò di mantenere il regime di potere bianco contrastando così i movimenti nazionalisti africani, sia nelle colonie sottoposte al controllo del Portogallo il cui regime autoritario restò ai margini del processo di decolonizzazione.
La seconda indipendenza si caratterizzò anche per le caratteristiche di maggiore radicalità politica che esprimevano i movimenti per l’indipendenza i quali si definirono movimenti di liberazione nazionale, con le seguenti caratteristiche: la scelta di trasformazioni radicali dello Stato coloniale; il coinvolgimento diretto delle popolazioni nella guerra di liberazione; la scelta della lotta armata.
Tali guerre di liberazione si svilupparono in concomitanza con l’emergere nel continente di altri regimi a opzione socialista, fondati sulla creazione di partiti unici e su un forte intervento dello Stato nell’economia e nell’inquadramento statale. Questi paesi diedero vita ad un blocco di paesi africani che entrò in stretto contatto con l’Unione Sovietica, intensificando lo scontro Est-Ovest nel Continente e indebolendo inoltre il progetto di organizzazione continentale.
In realtà, le indipendenze africane mostrarono risultati molto deludenti sia per quanto riguarda la partecipazione politica e la ricerca del consenso sia per lo sviluppo dell’economia e dell’uguaglianza sociale.
Gli anni ’80 videro la crescita del livello di povertà e di crisi ambientali; le economia africane dovettero ricorrere sempre di più agli aiuti internazionali e ai Piani di aggiustamento Strutturale (PAS) che però colpivano soprattutto le spese sociali. Crebbe quindi il disagio sociale e l’instabilità politica che causò l’aumento dei flussi di profughi e rifugiati.
In questo scenario si affermarono negli anni ’90 i movimenti politici che esprimevano forme di nazionalismo e di regionalismo che rivendicano forme di autonomia regionale, il diritto alla secessione o all’indipendenza, alcuni di questi si fecero anche portavoce delle lotte per la redistribuzione delle scarse risorse e per il raggiungimento di forme diverse di democrazia e partecipazione. Ciò determinò l’intensificarsi della violenza armata e della lotta politica e il conseguente indebolimento delle strutture istituzionali dello Stato-nazione. Nacquero così Stati deboli che non riuscivano più ad assicurare alla maggioranza dei cittadini un lavoro, i servizi sociali, la pace, la sicurezza, il controllo dell’economia; dilagarono quindi la corruzione e il malgoverno.
Gli stati postcoloniali erano basati sull’obbedienza, sul management dell’economia e caratterizzati dalla fragilità istituzionale, dall’assenza di legittimazione e di senso d’appartenenza.
Tra la fine degli anni ’80 e gli inizi del 2000 si accumularono nel continente africano pressioni economiche e politiche, in particolare intorno alle concentrazioni di risorse minerarie (diamanti, coltan, petrolio) alle zone di più forte indigenza, marginalità e discriminazione (Corno d’Africa, Dar Fur, Etiopia , Eritrea) o di più consolidate appartenenze di tipo religioso (scontro Islam-Cristianità a sud del Sudan ) o etnico (scontro tra Hutu e Tutsi nel Ruanda; tra popolazioni ruandesi-nilotiche e popolazioni bantu nel Congo orientale; tra popolazioni semitiche e cuscitiche in Etiopia).
Le radici dei problemi dell’Africa contemporanea vanno quindi ricercati nell’eredità che il periodo coloniale lasciò, sia dal punto di vista economico sia da quello politico e sociale.
Il periodo coloniale ha distrutto le basi per un’economia africana autosufficiente, inoltre le leggi del mercato mondiale contribuiscono al paradosso per cui l’Africa esporta ricchezze e diventa sempre più povera. Dal punto di vista politico si sono affermate nuove dittature che vogliono costruire una nazione senza però tenere in considerazioni le differenze etniche che ancora esistono nei vari paesi africani. I rapporti sociali restano quindi più tesi e drammatici e le vicende degli ultimi anni ne sono una dimostrazione: il genocidio in Ruanda, la crisi nel Corno d’Africa e l’emergenza nel Darfur, senza considerare lo sfruttamento della popolazione e del territorio da parte delle multinazionali che generano ulteriori tensioni.
AMICI di BEDANDA
La ricostruzione storica dell’Africa incontra l’ostacolo delle fonti scritte essendo il popolo africano caratteristico della “civiltà della parola”. In molte parti del continente, soprattutto nella cosiddetta “Africa nera” (a sud del Sahara ), i primi scritti appaiono soltanto con l’arrivo degli arabi, per raddoppiarsi poi con la presenza degli europei. Ad ogni modo nonostante la mancanza di fonti scritte anche l’Africa ha ricostruito la sua storia tramandandola nei racconti orali e mantenendola nella memoria collettiva attraverso l’esperienza umana dei suoi abitanti.L’Africa è considerata oggi senza alcun dubbio la “culla dell’umanità” essendo stata abitata già 6 millenni prima di Cristo, ma l’ambiente ostile allo sviluppo dell’agricoltura, la bassa resa dei suoli, le grandi distanze, la povertà e l’arretratezza dei mezzi di trasporto sono state difficoltà che sin da subito hanno mantenuto il continente africano in una posizione di sottosviluppo rispetto al resto del mondo. Spesso le difficoltà legate al clima e all’ambiente sono state poste alla base delle giustificazioni con le quali si è cercato di spiegare le cause dell’inferiorità economica e culturale del paese. Alla scarsezza dell’acqua e ai problemi legati al clima si aggiunse la povertà del suolo che non bastava per il sostentamento della popolazione costretta a continui spostamenti.

L’espansione delle popolazioni bantu mostra come anche in Africa ci sia stato un avanzamento degli agricoltori a scapito dei cacciatori. Ad ogni modo, sia l’agricoltura, sia la pastorizia sono sempre state a rischio viste le numerose e frequenti malattie che colpivano l’uomo e il bestiame; di fronte a queste difficoltà molte popolazioni si sono estinte senza lasciare significative tracce.
In alcune aree del continente, almeno fino al 1500, si è spesso creato tra pastori e agricoltori un sistema di scambi e sinergie che ha permesso loro di sopravvivere.
In Africa molte vie commerciali, quali quelle attraverso il Sahara o quelle sulle coste orientali (mar Rosso), erano attive già da tempi molto antichi e vennero poi intensificate sia con l’introduzione del cammello che con l’arrivo degli arabi. Il commercio di quegli anni riguardava principalmente il sale, l’oro e gli schiavi.
Sulle coste dell’Africa nacquero delle vere e proprie città-stato in cui convivevano elementi indigeni e arabi, dall’incontro dei quali ebbero origine alcune culture, una fra tutte quella swahili.

Accanto a molte società rette da capi, l’Africa conobbe anche un’ampia gamma di stati precoloniali. L’ Egitto , ad esempio, per tutto questo primo periodo della storia africana, è stato molto ambito tanto da dover subire diverse dominazioni senza però mai perdere la sua forma di stato centralizzato; una sua diretta filiazione può essere considerato lo stato di Kush e il regno di Assum, le cui vicende dinastiche portarono alla formazione del regno etiopico.
Dopo la nascita dell’Islam, sorsero un’altra vasta gamma di stati africani di derivazione araba: i sultanati del Maghreb, l’Egitto arabo, le città-stato swahili.
Per quanto riguarda invece gli stati dell’Africa subsahariana è possibile distinguere varie tipologie e raggruppamenti; mentre nell’Africa occidentale le forme statali più antiche risalgono al 400 d.C.

Gli stati dell’Africa centrale e meridionale, rispetto a quelli dell’Africa occidentale, non hanno quasi rapporti con il mondo musulmano.
L’arrivo degli europei ebbe delle conseguenze spesso disastrose sia sulle popolazioni sia sul territorio, con loro si assiste allo sviluppo delle guerre di razzia. Uomini di origine africana venivano prelevati dai loro sistemi sociali semplici per essere venduti come schiavi all’interno delle maggiori direttrici di traffici del continente; questo fenomeno incentivò e sviluppò i conflitti tra popolazioni diverse e contro le etnie più deboli economicamente e meno protette dalla loro organizzazione sociale. La presenza degli europei modificò il carattere di queste guerre.
Gli schiavi venivano venduti per lo più nel mondo arabo ma erano anche utilizzati in altre realtà africane.
Il commercio degli schiavi assunse una dimensione triangolare che per oltre tre secoli coinvolse tre diversi continenti: l’Europa forniva ai capi africani tessuti, acquavite e armi da fuoco; l’Africa schiavi all’America; e quest’ultima metalli preziosi, materie prime e prodotti coloniali all’Europa. Per tre secoli la tratta degli schiavi fornì all’Europa il necessario accumulo di capitale grazie al quale larghi strati della sua popolazione riuscirono a raggiungere un elevato tenore di vita. Agli inizi dell’800 emersero vari fenomeni che condussero alla progressiva abolizione della schiavitù; uno di questi fu la diffusione degli ideali trasmessi dalla civiltà dei Lumi. La prima nazione a mettere in atto il bando fu l’Inghilterra (1807) seguita dagli Stati Uniti (1808), dall’Olanda (1814) e dalla Francia (1817). Oltre alla diffusione di nuovi ideali contribuirono anche motivi economici.

L’Africa divenne così il territorio dove le potenze europee si confrontavano per dare prova della loro forza economica; colonizzare l’Africa diventava una vera e propria missione.
Nel 1869 venne completato il canale di Suez e questo segnò una svolta accelerante della tensione tra Gran Bretagna e Francia aggravata in seguito dall’entrata in scena del Belgio e della Germania.
La conferenza di Bruxelles, convocata da Leopoldo II nel 1876, diede il via alla spartizione dell’Africa che avvenne però in modo disordinato e rapido.
Di fronte all’aggressività europea gli stati africani cercarono di resistere ma in modo debole, tanto da lasciare spazio a forme di collaborazione messe in atto da ristrette élite locali che arrivarono a chiedere alle nazioni occupanti aiuto e protezione contro i nemici interni.
In concomitanza con l’occupazione europea si abbatté sulle popolazioni africane una catastrofe ecologica che produsse impoverimento, carestia, siccità ed epidemie.
Nella zona dell’Africa occidentale l’antagonismo anglo-francese coinvolse e sconvolse le società africane. Alla vigilia della prima guerra mondiale la nuova geopolitica dell’Africa occidentale era la seguente: Senegal , Costa d’Avorio , Guinea , Mauritania , Alto Volta, Niger , Dahomey, Ciad, parte del Congo si trovavano sotto la dominazione francese; Gambia, Sierra Leone, Costa d’Oro, Nigeria diventavano colonie inglesi; Togo e Camerun erano colonie tedesche. L’unico stato a rimanere indipendente era la Liberia che venne proclamata repubblica indipendente nel 1847.

Nell’Africa centrale si assistette invece ad un brutale sfruttamento delle popolazioni locali impiegate nella produzione della gomma naturale importante per la produzione di pneumatici.
L’Africa Meridionale, ricca di risorse minerarie, attirò una forte emigrazione di coloni tedeschi che ad ogni modo incontrarono l’opposizione delle popolazioni di coltivatori e allevatori.
Il colonialismo africano può essere diviso in tre fasi: quella antecedente alla prima guerra mondiale durante la quale si assistette allo sfruttamento senza freni del territorio e della popolazione; con la prima guerra mondiale, le cose cambiarono poiché ci si pose il problema della legittimità stessa del colonialismo basato sullo sfruttamento delle popolazioni. In seguito all’intervento della Società delle Nazioni, che affermò il diritto dei popoli ad una espressione libera della loro sovranità, le potenze coloniali cominciarono a cercare uno scopo e una filosofia che avrebbe dovuto giustificare agli occhi del mondo i loro interventi nel Continente africano. L’ultima fase del dominio coloniale fu quella a ridosso della seconda guerra mondiale fino all’indipendenza della maggior parte degli stati africani. La guerra registrò un forte coinvolgimento non solo dei popoli africani ma anche del territorio stesso. Negli anni successivi al conflitto mondiale, le potenze europee intervennero in modo sempre più pressante nella storia e nelle vicende sociali delle colonie; si assistette ad una vera e propria invasione di personale tecnico europeo nel continente africano.
Dopo la guerra la Francia e la Gran Bretagna diedero vita ad una serie di riforme che avrebbero dovuto accelerare la modernizzazione dell’Africa avviando una decolonizzazione senza scosse. In questo periodo aumentò lo sfruttamento delle risorse presenti nel territorio africano. La nuova logica dei colonizzatori europei prevedeva da una parte, lo sfruttamento, dall’altra il coinvolgimento degli strati superiori della popolazione ai quali veniva data la possibilità di ricoprire ruoli politici e di poter usufruire dell’istruzione e della formazione offerta dagli stessi europei. Ad ogni modo fu proprio questa parte di popolazione “privilegiata” a rivoltarsi contro i colonizzatori, innescando il processo delle indipendenze. I leader nazionalisti erano tutti occidentalizzati e grazie alla formazione ricevuta al di fuori del loro continente avevano assorbito l’idea che il problema dell’Africa era il mancato aggancio alla modernità e al progresso, per questo si scagliarono contro le dinamiche dei villaggi basati sulle credenze e le superstizioni viste come ostacolo a ogni proposito di unità contro il nemico comune.
L’esperienza della guerra mondiale ebbe anche l’effetto di mostrare agli stessi africani che i bianchi non erano invincibili.
In varie parti dell’Africa si assistette al sorgere delle prime rivolte: in Sudafrica si verificarono i primi scioperi tra i minatori e gli addetti alla costruzione delle ferrovie, nell’Africa equatoriale francese si assistette poi alla rivolta di 350.000 Baya e in Egitto si consolidò anche ideologicamente il movimento nazionalista africano.

L’aggressione nazista e fascista e la seconda guerra mondiale divennero poi delle vere e proprie scuole di internazionalismo e accelerarono le spinte anticolonialistiche.
La guerra quindi acculturò e addestrò i soldati neri che vennero impegnati sui vari fronti e mostrò la debolezza delle potenze coloniali che si dissanguarono vicendevolmente.
Contribuirono alla costruzione dei movimenti indipendentisti africani due avvenimenti diplomatico culturali.
Il primo fu l’incontro tra Roosevelt e Churchill del 1941 che condusse alla formulazione della Carta Atlantica nella quale venne fatto un preciso riferimento all’autodeterminazione delle colonie, alla libera circolazione delle merci e al libero accesso alle materie prime. Il secondo fu il Congresso Panafricano che si tenne a Manchester nel 1945 durante il quale i massimi esponenti del movimento approvarono un documento dal quale emerse la volontà del popolo africano di “essere libero”.
La fine della guerra e l’ultimo periodo coloniale consegnano agli africani una divisione in Stati che non aveva nulla a che vedere con una effettiva dimensione nazionale e culturale.
Il movimento indipendentista vide le prime indipendenze africane già negli anni ’50: Libia 1951, Marocco , Tunisia, Sudan, 1956, Ghana, 1957. Il 1960 fu l’anno dell’Africa: 17 paesi diventarono indipendenti in quell’anno e ottennero un seggio alle Nazioni Unite.
A questa prima ondata d’indipendenze fece seguito a partire dalla metà degli anni ’70 una seconda fase che si distinse dalla prima per le caratteristiche di lotta armata. Forti resistenze alla decolonizzazione si verificarono sia nelle colonie di popolamento europeo, dove la borghesia locale d’origine europea cercò di mantenere il regime di potere bianco contrastando così i movimenti nazionalisti africani, sia nelle colonie sottoposte al controllo del Portogallo il cui regime autoritario restò ai margini del processo di decolonizzazione.
La seconda indipendenza si caratterizzò anche per le caratteristiche di maggiore radicalità politica che esprimevano i movimenti per l’indipendenza i quali si definirono movimenti di liberazione nazionale, con le seguenti caratteristiche: la scelta di trasformazioni radicali dello Stato coloniale; il coinvolgimento diretto delle popolazioni nella guerra di liberazione; la scelta della lotta armata.
Tali guerre di liberazione si svilupparono in concomitanza con l’emergere nel continente di altri regimi a opzione socialista, fondati sulla creazione di partiti unici e su un forte intervento dello Stato nell’economia e nell’inquadramento statale. Questi paesi diedero vita ad un blocco di paesi africani che entrò in stretto contatto con l’Unione Sovietica, intensificando lo scontro Est-Ovest nel Continente e indebolendo inoltre il progetto di organizzazione continentale.
In realtà, le indipendenze africane mostrarono risultati molto deludenti sia per quanto riguarda la partecipazione politica e la ricerca del consenso sia per lo sviluppo dell’economia e dell’uguaglianza sociale.

In questo scenario si affermarono negli anni ’90 i movimenti politici che esprimevano forme di nazionalismo e di regionalismo che rivendicano forme di autonomia regionale, il diritto alla secessione o all’indipendenza, alcuni di questi si fecero anche portavoce delle lotte per la redistribuzione delle scarse risorse e per il raggiungimento di forme diverse di democrazia e partecipazione. Ciò determinò l’intensificarsi della violenza armata e della lotta politica e il conseguente indebolimento delle strutture istituzionali dello Stato-nazione. Nacquero così Stati deboli che non riuscivano più ad assicurare alla maggioranza dei cittadini un lavoro, i servizi sociali, la pace, la sicurezza, il controllo dell’economia; dilagarono quindi la corruzione e il malgoverno.
Gli stati postcoloniali erano basati sull’obbedienza, sul management dell’economia e caratterizzati dalla fragilità istituzionale, dall’assenza di legittimazione e di senso d’appartenenza.
Tra la fine degli anni ’80 e gli inizi del 2000 si accumularono nel continente africano pressioni economiche e politiche, in particolare intorno alle concentrazioni di risorse minerarie (diamanti, coltan, petrolio) alle zone di più forte indigenza, marginalità e discriminazione (Corno d’Africa, Dar Fur, Etiopia , Eritrea) o di più consolidate appartenenze di tipo religioso (scontro Islam-Cristianità a sud del Sudan ) o etnico (scontro tra Hutu e Tutsi nel Ruanda; tra popolazioni ruandesi-nilotiche e popolazioni bantu nel Congo orientale; tra popolazioni semitiche e cuscitiche in Etiopia).
Le radici dei problemi dell’Africa contemporanea vanno quindi ricercati nell’eredità che il periodo coloniale lasciò, sia dal punto di vista economico sia da quello politico e sociale.
Il periodo coloniale ha distrutto le basi per un’economia africana autosufficiente, inoltre le leggi del mercato mondiale contribuiscono al paradosso per cui l’Africa esporta ricchezze e diventa sempre più povera. Dal punto di vista politico si sono affermate nuove dittature che vogliono costruire una nazione senza però tenere in considerazioni le differenze etniche che ancora esistono nei vari paesi africani. I rapporti sociali restano quindi più tesi e drammatici e le vicende degli ultimi anni ne sono una dimostrazione: il genocidio in Ruanda, la crisi nel Corno d’Africa e l’emergenza nel Darfur, senza considerare lo sfruttamento della popolazione e del territorio da parte delle multinazionali che generano ulteriori tensioni.
AMICI di BEDANDA
venerdì 1 aprile 2011
BASTA GUERRA IN AFRICA........."PACE"
Costa d’Avorio, guerra civile e crisi umanitaria. Disperata
Nel silenzio occidentale la crisi in Costa d’Avorio si fa ogni giorno peggiore. Gli scontri si susseguono dal novembre 2010, quando il presidente uscente Laurent Gbagbo non ha voluto riconoscere il vincitore Alassane Ouattara, scatenando una vera e propria guerra civile.
Da allora la situazione del già povero paese africano peggiora senza sosta. Il reportage di Repubblica da Abidjab racconta di una città presidiata dai carri armati, “tra incendi, macerie e cadaveri abbandonati”.
Gli sfollati sono centinaia. La situazione è così grave che persino l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha annunciato di aver dovuto ritirare il personale internazionale in alcune città.
La guerriglia civile mette sotto pressione anche i mercati internazionali del cacao, di cui la Costa d’Avorio è il primo produttore al mondo, e di cui Ggabo sta tentando di prendere il controllo.
Terre des Hommes distribuisce beni di prima necessità messi a disposizione dall’Unicef, dando da mangiare a quasi 2500 persone. Biscotti ad alto contenuto energetico, pannolini per i bambini, pastiglie di cloro per rendere potabile l’acqua, sapone, bidoni e secchi per l’acqua, bidoni per la spazzatura, corde per stendere panni, stuoie per dormire, tessuti e volantini con le norme igieniche.
Oltre ai beni di prima necessità, ricorda Repubblica, Terre des Hommes fornisce dal 2006 sostegno psicosociale ai bambini delle bidonville di Abidjan, e insieme alle suore missionarie di Maria Teresa del Bambin Gesù di Koomassi, offre attività ludico-didattiche per contrastare l’abbandono scolastico e servizi sanitari di base.
Nel nord del Paese l’organizzazione sta portando avanti un programma di sostegno al sistema sanitario pubblico nella regione dello Zanzan, dove nel 2002 si sono svolti i più cruenti scontri della guerra civile. In particolare l’intervento è rivolto alle donne incinte e ai neonati, per contrastare le morti per parto e la mortalità infantile.
Basta guerra in Africa, questo continente merita la pace e il cammino verso il progresso......cessate il fuoco !!!!
amici di Bedanda
domenica 13 marzo 2011
LA STORIA DELL'AFRICA CONTINUA
idioti nel mondo

Un giorno. tre idioti che erano stati cacciati via da un villaggio per colpa dei loro pettegolezzi, si ritrovarono ad un crocevia e dissero: «Forse arriveremo a qualche cosa di utile se riuniremo l’intelligenza di tre teste stupide». E proseguirono il loro cammino insieme: dopo un certo tempo, arrivarono davanti a una capanna dalla quale uscì un vecchio uomo che disse loro: «Dove andate?». Gli idioti alzarono le spalle e risposero: «Dove

E al secondo:
«Vai nel bosco e porta un masso legato con treccine di corde!»
Poi al terzo:
«E tu portami delle noci di cocco!»
Gli idioti presero un recipiente ciascuno, un’ascia e un bastone e si misero in strada. Il primo si fermò vicino al mare e si mise a pescare. Quando il suo recipiente fu pieno, ebbe di colpo sete; ributtò tutto il pesce in acqua e tornò a casa a bere. Il vecchio gli domandò: «Dove sono i pesci?». Egli rispose: «Li ho rimessi nell’acqua. Mi ha preso la sete e sono ritornato veloce a casa per bere. Il vecchio si arrabbiò: «E non potevi bere al mare?» gli chiese. L’idiota rispose: «Non ci ho pensato…»

Il terzo idiota montò sulla palma da cocco, mostrò alle noci dl cocco il suo bastone e disse: «Tu devi buttare a terra queste noci di cocco, hai capito?» Scese e cominciò a lanciare il bastone sul cocco. Ma non fece cadere nessuna noce. Anche lui ritornò a casa a mani vuote.
E una volta ancora il vecchia si arrabbiò: «Poiché tu eri sul cocco, perché non hai colto il frutto con le mani?». Egli rispose: «Non ci ho pensato…».
Il vecchio seppe che non avrebbe combinato niente di buono con quei tre scemi.
Gli diede in moglie le sue tre figlie e li cacciò via tutti quanti.
Gli idioti e le loro mogli costruirono una capanna e vi vissero bene e male.
Ebbero figli tanto stupidi quanto erano loro, le capanne si moltiplicarono e gli idioti si disseminarono in tutto il mondo.
amici di Bedanda
mercoledì 2 marzo 2011
.............RACCONTI DALLA GUINEA BISSAU
GUINEA BISSAU - venerdì 21 gennaio 2011
Serata sulla GUINEA BISSAU
Responsabile di un’azienda agricola che coltiva circa duecento ettari di terra. Un lavoro in apparenza come tanti altri quello di Diego Mamasamba Baldè, tra i protagonisti assoluti della serata di promozione umana e sociale in programma il prossimo 21 gennaio, con inizio alle ore 20.30, presso il nuovo centro culturale (ex Municipio) di Zevio.
“Ma la mia storia, come le altre che verranno raccontate, vale la pena di ascoltarla”, assicura lui, giovane ragazzotto africano di trentatré anni dallo sguardo già profondo e maturo.
“Ma la mia storia, come le altre che verranno raccontate, vale la pena di ascoltarla”, assicura lui, giovane ragazzotto africano di trentatré anni dallo sguardo già profondo e maturo.
E c’è da crederci. Il tema dell’incontro tratta, infatti, il filo diretto di aiuto che corre tra Zevio e la Guinea Bissau, stato dell’Africa occidentale e continentale ancor oggi nella lista dei venti paesi più poveri al mondo. Un rapporto di solidarietà nato nel 2007 grazie al gemellaggio con Bafatà e sostenuto attraverso i contributi che la cittadinanza offre mensilmente per la realizzazione di case per i missionari, come Padre Luca e Padre Lucio che da sei anni vivono là, e per aiuti concreti alla popolazione autoctona.
“E la presenza di Diego in Italia, arrivato per cure mediche, offre una possibilità unica, a tutti coloro che sono interessati, per rendersi conto dell’utilità dei finanziamenti alle missioni e per capire l’immensa necessità strutturale”, spiega Gianni Longo della Pro Loco, che assieme alla presidente Alessandra Morini, ha promosso l’iniziativa. Ed è lo stesso Longo ad entrare nei dettagli, in quanto elettricista volontario in varie missioni. “Il progetto si è in effetti espanso”, ci rivela, “grazie all’associazione Rete Guinea Bissau, nata dieci anni fa dal compianto Vescovo Settimio Ferrazzetta, che mi ha contattato per installare un impianto fotovoltaico alla fabbrica di anacardi e per la coltivazione di cajù di Diego, così da renderla autonoma senza eccessive spese di gasolio”.
Anacardi? “Anacardi, certo”, riprende la voce Mamasamba, sposato e padre di tre figli, “un prodotto che riusciamo a esportare verso l’Italia, anche per merito di cooperative di consumo come La Tabanka (in italiano, il villaggio, n.d.r.) di San Martino Buon Albergo”.
La sua, ora lo si può dire, è un’azienda speciale. “Per molti motivi è importante ricordarla”, asserisce Sergio Dal Medico, promotore per il sostegno alla Guinea Bissau e a San Francisco della Foresta, dove si trova la ditta, “in primo luogo dà lavoro fisso a cinquanta persone e a duecento stagionali nel periodo della raccolta e, soprattutto, è il risultato evidente dell’opera di uni missionario importante come Vittorio Bicego, scomparso già nel 1998”.
Di Vittorio Bicego si parlerà durante la serata informativa, con la proiezione di un filmato aggiunto ad alcune testimonianze. Originario di Valdagno, si è dedicato, per diciannove anni e fino alla sua prematura morte, allo sviluppo di diverse missioni su tutto il territorio guineiano.
Insignito nel 1982 con il Premio alla Bontà dal Comune di Valdagno,è considerato da Diego Mamasamba Baldè più di un padre, in quanto lo “adottò” quando quest’ultimo era un bambino abbandonato e senza futuro certo.
“Mi ha fatto diventare un uomo”, ricorda Diego nelle pagine del libro “Lettere dall’Africa”, che raccoglie i racconti del missionario, “e oggi, dopo molto tempo, tantissime persone delle tabanke parlano di lui con le lacrime agli occhi”. Una lunga catena di aiuti, onorata e approfondita nell’evento del ventuno gennaio prossimo, attraverso la storia e l’esposizione di prodotti tipici, con tutti gli zeviani invitati a presenziare.
Anacardi? “Anacardi, certo”, riprende la voce Mamasamba, sposato e padre di tre figli, “un prodotto che riusciamo a esportare verso l’Italia, anche per merito di cooperative di consumo come La Tabanka (in italiano, il villaggio, n.d.r.) di San Martino Buon Albergo”.
La sua, ora lo si può dire, è un’azienda speciale. “Per molti motivi è importante ricordarla”, asserisce Sergio Dal Medico, promotore per il sostegno alla Guinea Bissau e a San Francisco della Foresta, dove si trova la ditta, “in primo luogo dà lavoro fisso a cinquanta persone e a duecento stagionali nel periodo della raccolta e, soprattutto, è il risultato evidente dell’opera di uni missionario importante come Vittorio Bicego, scomparso già nel 1998”.
Di Vittorio Bicego si parlerà durante la serata informativa, con la proiezione di un filmato aggiunto ad alcune testimonianze. Originario di Valdagno, si è dedicato, per diciannove anni e fino alla sua prematura morte, allo sviluppo di diverse missioni su tutto il territorio guineiano.
Insignito nel 1982 con il Premio alla Bontà dal Comune di Valdagno,è considerato da Diego Mamasamba Baldè più di un padre, in quanto lo “adottò” quando quest’ultimo era un bambino abbandonato e senza futuro certo.
“Mi ha fatto diventare un uomo”, ricorda Diego nelle pagine del libro “Lettere dall’Africa”, che raccoglie i racconti del missionario, “e oggi, dopo molto tempo, tantissime persone delle tabanke parlano di lui con le lacrime agli occhi”. Una lunga catena di aiuti, onorata e approfondita nell’evento del ventuno gennaio prossimo, attraverso la storia e l’esposizione di prodotti tipici, con tutti gli zeviani invitati a presenziare.
Perché insieme si può. O, per dirlo in lingua locale, djitu ten. ...................Francesco Salvoro
amici di Bedanda
venerdì 25 febbraio 2011
......................STORIE D'AFRICA...........continua
Capitane coraggiose
Una è un nome famoso. L’altra porta un nome famoso. L’altra ancora ha un nome come tanti e non è famosa per niente. Eppure queste tre donne africane, donne del Sahel, sono, ciascuna a modo suo, speciali per davvero.
Aminata Traoré la conoscono un po’ tutti. Ex ministro della Cultura del suo Paese, il Mali, ha sbattuto la porta al governo per tornare ad essere indipendente e battersi come africana e come donna per un’Africa e un mondo più giusti.
Odile Sankara, invece, porta nel nome l’eco di una stagione di lotta e di speranza. È la petite soeur del grande leader del Burkina Faso, Thomas Sankara, ma lei non ha niente a che vedere con la politica. Sono la cultura e il teatro le armi per la sua battaglia contro l’ignoranza e per la liberazione della donna.
Una è un nome famoso. L’altra porta un nome famoso. L’altra ancora ha un nome come tanti e non è famosa per niente. Eppure queste tre donne africane, donne del Sahel, sono, ciascuna a modo suo, speciali per davvero.
Aminata Traoré la conoscono un po’ tutti. Ex ministro della Cultura del suo Paese, il Mali, ha sbattuto la porta al governo per tornare ad essere indipendente e battersi come africana e come donna per un’Africa e un mondo più giusti.
Odile Sankara, invece, porta nel nome l’eco di una stagione di lotta e di speranza. È la petite soeur del grande leader del Burkina Faso, Thomas Sankara, ma lei non ha niente a che vedere con la politica. Sono la cultura e il teatro le armi per la sua battaglia contro l’ignoranza e per la liberazione della donna.

Infine, Fatimata Mbaye è una sconosciuta avvocatessa della Mauritania. Ma già solo il fatto di essere donna, nera, avvocato e militante per i diritti umani la rendono un caso unico nel suo Paese. E l’ha pagato a caro prezzo.
«È una grande battaglia quella che siamo chiamate a fare noi donne africane», dice Aminata Traoré, che incontriamo di passaggio in Italia. E lei battagliera lo è davvero. Ma con quel fascino tutto femminile che enfatizza sapientemente con ampi abiti e vistosi turbanti. «Vogliono confinarci nello spazio domestico - afferma risoluta -. E invece dobbiamo uscire fuori, non per chiedere pietà, ma rispetto e solidarietà. La resistenza deve partire da noi donne. Abbiamo un ruolo importante: curare le piaghe di un sistema cinico, in cui prevalgono le logiche del profitto, della mercificazione di ogni cosa, anche della cultura, del pensiero, dell’arte, delle nostre tradizioni. Le donne hanno qualcosa da dire. Siamo più forti e più credibili, perché meno soggette alle logiche del profitto, dei soldi, del potere, del dominio. Gli uomini vengono facilmente sedotti dalle tentazioni…».
«È una grande battaglia quella che siamo chiamate a fare noi donne africane», dice Aminata Traoré, che incontriamo di passaggio in Italia. E lei battagliera lo è davvero. Ma con quel fascino tutto femminile che enfatizza sapientemente con ampi abiti e vistosi turbanti. «Vogliono confinarci nello spazio domestico - afferma risoluta -. E invece dobbiamo uscire fuori, non per chiedere pietà, ma rispetto e solidarietà. La resistenza deve partire da noi donne. Abbiamo un ruolo importante: curare le piaghe di un sistema cinico, in cui prevalgono le logiche del profitto, della mercificazione di ogni cosa, anche della cultura, del pensiero, dell’arte, delle nostre tradizioni. Le donne hanno qualcosa da dire. Siamo più forti e più credibili, perché meno soggette alle logiche del profitto, dei soldi, del potere, del dominio. Gli uomini vengono facilmente sedotti dalle tentazioni…».
La Traoré una proposta ce l’ha: promuovere la partecipazione delle donne alla vita sociale e politica dei loro Paesi. Non solo in Africa. «Resistere è un’esigenza. Ma anche cambiare le cose. Oggi occorre costruire una visione più fraterna del mondo. E i media hanno un grande ruolo, ma anche una grande responsabilità, perché stanno sempre dalla parte del potere. Sono stanca delle immagini di un’Africa povera, derelitta, in guerra… Occorre un’informazione più corretta che dia voce a tutti, anche a noi. Un’altra Africa è possibile solo se un altro mondo, un’altra Europa e un’altra Italia saranno possibili. Cominciamo a lottare contro l’indifferenza».
È questo uno dei cavalli di battaglia di madame Traoré: lottare contro l’indifferenze, da un lato, e contro l’ingerenza, dall’altro: ingerenza economica, politica e anche culturale. La violazione dell’immaginario - ha sostenuto in uno dei suoi libri pubblicati anche in Italia (Ponte alle Grazie, 2002) - è la principale violenza che viene fatta oggi all’Africa. Significa «cancellare la sua storia, la sua cultura, le sue tradizioni. Significa far passare l’idea che questo continente non possiede nulla, nemmeno una sua cultura. E si usa questa come giustificazione per poi immischiarsi nei suoi affari, opprimerlo, depredarlo…».
È questo uno dei cavalli di battaglia di madame Traoré: lottare contro l’indifferenze, da un lato, e contro l’ingerenza, dall’altro: ingerenza economica, politica e anche culturale. La violazione dell’immaginario - ha sostenuto in uno dei suoi libri pubblicati anche in Italia (Ponte alle Grazie, 2002) - è la principale violenza che viene fatta oggi all’Africa. Significa «cancellare la sua storia, la sua cultura, le sue tradizioni. Significa far passare l’idea che questo continente non possiede nulla, nemmeno una sua cultura. E si usa questa come giustificazione per poi immischiarsi nei suoi affari, opprimerlo, depredarlo…».
La sua è una voce di denuncia forte, che rimbalza dai villaggi del Mali ai summit planetari, da Porto Alegre a Mumbai. Eppure la Traoré non rinuncia mai a sottolineare anche elementi di proposta e di speranza. Nonché di responsabilità. «C’è un dovere di verità che si impone, innanzitutto a noi africani - dice convinta -. È estremamente importante, fondamentale. Soprattutto in quest’epoca storica cruciale per il mondo. Perché anche l’Africa possa far sentire la sua voce. E che sia una voce autentica».
Come quella di Odile Sankara, che ha tutt’altro temperamento rispetto all’esuberante madame Traoré. Discreta, al limite della timidezza, ti racconta la sua storia e il suo impegno con una naturalezza che fa sembrare del tutto scontata una scelta di vita fuori dal comune. Una scelta molto criticata. Perché non capìta.
Odile ha una formazione umanistica, è attrice di teatro ed è impegnata nella promozione della donna in Burkina Faso. Ha quarant’anni, non è sposata e non ha figli. Tutte cose - private e professionali - che in una società ancora fortemente tradizionalista come quella del suo Paese non sempre sono viste di buon occhio. Anzi… E infatti, di maldicenze e discriminazioni ne ha dovute subire molte, Odile. «In Burkina Faso - racconta -, le donne che fanno teatro o che lavorano in ambito culturale o artistico non sono ben viste, vengono considerate delle poco di buono. Questo perché lavoriamo molto di notte, usciamo da sole, rientriamo tardi, e allora si pensa che conduciamo una vita scostumata. Naturalmente non è vero e dunque abbiamo deciso di farlo capire alla gente attraverso il nostro lavoro e la creazione di un’associazione che promuove molte iniziative».
Come quella di Odile Sankara, che ha tutt’altro temperamento rispetto all’esuberante madame Traoré. Discreta, al limite della timidezza, ti racconta la sua storia e il suo impegno con una naturalezza che fa sembrare del tutto scontata una scelta di vita fuori dal comune. Una scelta molto criticata. Perché non capìta.
Odile ha una formazione umanistica, è attrice di teatro ed è impegnata nella promozione della donna in Burkina Faso. Ha quarant’anni, non è sposata e non ha figli. Tutte cose - private e professionali - che in una società ancora fortemente tradizionalista come quella del suo Paese non sempre sono viste di buon occhio. Anzi… E infatti, di maldicenze e discriminazioni ne ha dovute subire molte, Odile. «In Burkina Faso - racconta -, le donne che fanno teatro o che lavorano in ambito culturale o artistico non sono ben viste, vengono considerate delle poco di buono. Questo perché lavoriamo molto di notte, usciamo da sole, rientriamo tardi, e allora si pensa che conduciamo una vita scostumata. Naturalmente non è vero e dunque abbiamo deciso di farlo capire alla gente attraverso il nostro lavoro e la creazione di un’associazione che promuove molte iniziative».
Si chiama Talents des femmes («Talenti delle donne») l’associazione che Odile e tre sue amiche hanno fondato nel 1996. Col tempo vi si associano altre donne e in breve cominciano a proporre svariate iniziative, divenendo molto attive e conosciute in tutto il Paese. In particolare, l’associazione acquista notorietà grazie al festival Voix des femmes («Voci di donne»), che si svolge ogni due anni ed è ormai giunto alla quarta edizione.
«L’idea di fondo - spiega Odile - è far venire nella capitale Ouagadougou le troupe tradizionali dalle zone rurali. Lì le donne hanno creato gruppi di danza e canto, ma il loro lavoro resta confinato nei villaggi. Inoltre, non hanno una formazione adeguata e quindi quello che fanno resta un po’ nell’ambito del folclore. Durante il festival, invece, hanno l’opportunità di esibirsi in città, confrontarsi con altre troupe e scambiarsi idee ed esperienze. E poi, proponiamo momenti formativi con professori e specialisti e una tavola rotonda durante la quale si affrontano i diversi problemi che incontrano».
Uno di questi, purtroppo, continua ad essere di carattere non meramente artistico, ma socio-culturale. In un contesto ancora fortemente tradizionale, le donne godono di relativa libertà, non possono fare ciò che desiderano, né sviluppare le loro capacità e la loro creatività. Tutto dipende dagli uomini che stanno loro accanto. Che, nella migliore delle ipotesi, le controllano e più spesso le sottomettono.
«È un problema di educazione - sottolinea Odile -. Specialmente nei villaggi, le donne adulte non sono mai andate a scuola, e ancora oggi esiste un problema di scolarizzazione delle bambine. Nei contesti rurali, dove la gente è più povera, spesso sono loro le prime ad essere discriminate, anche perché in casa svolgono un ruolo fondamentale, aiutano la mamma con i fratellini, nei lavori domestici o nei campi…».
E allora, per cercare di cambiare un po’ la mentalità, senza però urtare le sensibilità o stravolgere cultura e tradizioni, Odile ha fatto quello che sa fare meglio: l’attrice. E insieme alla Compagnie deSeeren («fioritura») e il supporto di una ong canadese, ha organizzato una grande tournée in tutto il Paese. E in modo semplice, ma diretto e comprensibile per tutti, ha parlato di tematiche molto delicate, che spesso restano ancora oggi tabù. Come le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati, la salute riproduttiva, i diritti dei bambini e delle donne…
«Alla fine di ogni spettacolo - racconta Odile - c’è sempre un dibattito con la gente del villaggio. E spesso sono più interessanti delle rappresentazioni stesse! La gente parla senza timore. Anzi, spesso ci rinfacciano il fatto che noi veniamo dalla città e dunque ci permettiamo di dare loro delle lezioni. E allora ci spiegano il loro punto di vista…».
«L’idea di fondo - spiega Odile - è far venire nella capitale Ouagadougou le troupe tradizionali dalle zone rurali. Lì le donne hanno creato gruppi di danza e canto, ma il loro lavoro resta confinato nei villaggi. Inoltre, non hanno una formazione adeguata e quindi quello che fanno resta un po’ nell’ambito del folclore. Durante il festival, invece, hanno l’opportunità di esibirsi in città, confrontarsi con altre troupe e scambiarsi idee ed esperienze. E poi, proponiamo momenti formativi con professori e specialisti e una tavola rotonda durante la quale si affrontano i diversi problemi che incontrano».
Uno di questi, purtroppo, continua ad essere di carattere non meramente artistico, ma socio-culturale. In un contesto ancora fortemente tradizionale, le donne godono di relativa libertà, non possono fare ciò che desiderano, né sviluppare le loro capacità e la loro creatività. Tutto dipende dagli uomini che stanno loro accanto. Che, nella migliore delle ipotesi, le controllano e più spesso le sottomettono.
«È un problema di educazione - sottolinea Odile -. Specialmente nei villaggi, le donne adulte non sono mai andate a scuola, e ancora oggi esiste un problema di scolarizzazione delle bambine. Nei contesti rurali, dove la gente è più povera, spesso sono loro le prime ad essere discriminate, anche perché in casa svolgono un ruolo fondamentale, aiutano la mamma con i fratellini, nei lavori domestici o nei campi…».
E allora, per cercare di cambiare un po’ la mentalità, senza però urtare le sensibilità o stravolgere cultura e tradizioni, Odile ha fatto quello che sa fare meglio: l’attrice. E insieme alla Compagnie deSeeren («fioritura») e il supporto di una ong canadese, ha organizzato una grande tournée in tutto il Paese. E in modo semplice, ma diretto e comprensibile per tutti, ha parlato di tematiche molto delicate, che spesso restano ancora oggi tabù. Come le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati, la salute riproduttiva, i diritti dei bambini e delle donne…
«Alla fine di ogni spettacolo - racconta Odile - c’è sempre un dibattito con la gente del villaggio. E spesso sono più interessanti delle rappresentazioni stesse! La gente parla senza timore. Anzi, spesso ci rinfacciano il fatto che noi veniamo dalla città e dunque ci permettiamo di dare loro delle lezioni. E allora ci spiegano il loro punto di vista…».
Per una famiglia che vive nelle regioni rurali del Burkina dare una figlia giovanissima in moglie significa assicurarle un futuro, evitare che abbia relazioni con un ragazzo qualunque e magari resti incinta prima del matrimonio. Uno scandalo inconcepibile.
«Con tutto il rispetto possibile - spiega Odile - cerchiamo di farli riflettere e di aprire un poco i loro orizzonti. Poniamo delle domande, senza necessariamente imporre delle risposte. E vediamo che la gente a poco a poco capisce. E qualcuno cambia anche atteggiamento, anche se sappiamo che è un processo molto lungo».
È così che Odile e le sue collaboratrici di Talents de femmes stanno portando avanti un lavoro prezioso e faticoso, per l’emancipazione delle donne del loro Paese. «Solo se possiedi un’educazione allora puoi davvero scegliere della tua vita. È questo che stiamo cercando di trasmette alle altre donne. Solo il sapere, la consapevolezza dei nostri diritti, ci permette di essere finalmente libere».
Certo le difficoltà non mancano. E anche se sono sempre di più quelli che conoscono e apprezzano il loro lavoro, c’è ancora chi guarda con sospetto - se non con disprezzo - queste donne artiste, creative e indipendenti.
«Dobbiamo continuare - dice convinta Odile - e crederci fino in fondo, avere una forte motivazione e il coraggio di andare avanti».
Una frase del genere potrebbe sottoscriverla integralmente un’altra donna che vive non molto distante da lì, in Mauritania. Per Fatimata Mbaye, la vita è stata una sfida continua: contro la famiglia, la tradizione, le leggi scritte e non, che obbligano le bambine a matrimoni forzati, contro la schiavitù abolita sulla carta ma ancora praticata… Contro tutto ciò che opprime l’uomo e soprattutto la donna.
Lei il coraggio di farlo l’ha trovato quand’era giovanissima. Sposata a 13 anni a un uomo molto più anziano di lei, cui doveva totale obbedienza e sottomissione, ha dovuto abbandonare gli studi e dedicarsi completamente a lui, alla casa, alla famiglia. Una vita da reclusa. Per dieci anni. «Ho conosciuto il matrimonio forzato, sono stata circondata da ragazzine che morivano a causa delle mutilazioni genitali, e dunque il mio cammino non poteva essere che quello». Ovvero, dopo aver divorziato, riprendere gli studi e diventare la prima e unica donna avvocato del suo Paese. Una donna nera oltretutto, di etnia peul, disprezzata e schiavizzata dalle popolazioni maure. E infatti, nel 1986, dopo la pubblicazione del «Manifesto del nero-mauritano oppresso» finiscono in prigione gli intellettuali che lo avevano firmato e anche gli studenti che li avevano sostenuti. Compresa Fatimata. È il suo primo «soggiorno» nelle patrie carceri. Da cui trarrà ispirazione per denunciare gli abusi che le donne vi subiscono. «Ho scelto di studiare diritto per essere al servizio di chi i diritti non ce li ha», non si stanca di ripetere. E, allora, prima si mette a disposizione del Comitato delle vedove, poi contribuisce alla fondazione di Sos-Esclaves e quindi diventa presidente dell’Associazione mauritana dei diritti dell’uomo.
«Con tutto il rispetto possibile - spiega Odile - cerchiamo di farli riflettere e di aprire un poco i loro orizzonti. Poniamo delle domande, senza necessariamente imporre delle risposte. E vediamo che la gente a poco a poco capisce. E qualcuno cambia anche atteggiamento, anche se sappiamo che è un processo molto lungo».
È così che Odile e le sue collaboratrici di Talents de femmes stanno portando avanti un lavoro prezioso e faticoso, per l’emancipazione delle donne del loro Paese. «Solo se possiedi un’educazione allora puoi davvero scegliere della tua vita. È questo che stiamo cercando di trasmette alle altre donne. Solo il sapere, la consapevolezza dei nostri diritti, ci permette di essere finalmente libere».
Certo le difficoltà non mancano. E anche se sono sempre di più quelli che conoscono e apprezzano il loro lavoro, c’è ancora chi guarda con sospetto - se non con disprezzo - queste donne artiste, creative e indipendenti.
«Dobbiamo continuare - dice convinta Odile - e crederci fino in fondo, avere una forte motivazione e il coraggio di andare avanti».
Una frase del genere potrebbe sottoscriverla integralmente un’altra donna che vive non molto distante da lì, in Mauritania. Per Fatimata Mbaye, la vita è stata una sfida continua: contro la famiglia, la tradizione, le leggi scritte e non, che obbligano le bambine a matrimoni forzati, contro la schiavitù abolita sulla carta ma ancora praticata… Contro tutto ciò che opprime l’uomo e soprattutto la donna.
Lei il coraggio di farlo l’ha trovato quand’era giovanissima. Sposata a 13 anni a un uomo molto più anziano di lei, cui doveva totale obbedienza e sottomissione, ha dovuto abbandonare gli studi e dedicarsi completamente a lui, alla casa, alla famiglia. Una vita da reclusa. Per dieci anni. «Ho conosciuto il matrimonio forzato, sono stata circondata da ragazzine che morivano a causa delle mutilazioni genitali, e dunque il mio cammino non poteva essere che quello». Ovvero, dopo aver divorziato, riprendere gli studi e diventare la prima e unica donna avvocato del suo Paese. Una donna nera oltretutto, di etnia peul, disprezzata e schiavizzata dalle popolazioni maure. E infatti, nel 1986, dopo la pubblicazione del «Manifesto del nero-mauritano oppresso» finiscono in prigione gli intellettuali che lo avevano firmato e anche gli studenti che li avevano sostenuti. Compresa Fatimata. È il suo primo «soggiorno» nelle patrie carceri. Da cui trarrà ispirazione per denunciare gli abusi che le donne vi subiscono. «Ho scelto di studiare diritto per essere al servizio di chi i diritti non ce li ha», non si stanca di ripetere. E, allora, prima si mette a disposizione del Comitato delle vedove, poi contribuisce alla fondazione di Sos-Esclaves e quindi diventa presidente dell’Associazione mauritana dei diritti dell’uomo.
Associazioni che, fino allo scorso 15 maggio, erano tutte considerate illegali. Il riconoscimento da parte del ministero dell’Interno mauritano è un importante passo avanti, che ricompensa molte delle battaglie fatte da Fatimata. Ma non basta. Questa minuta avvocatessa, armata solo della forza della parola, ammonisce: «Ci sono decine di altre associazioni che attendono di poter agire legalmente nel Paese».
Dunque, la lotta continua. Con le donne in testa.
Dunque, la lotta continua. Con le donne in testa.
Amici di Bedanda
sabato 19 febbraio 2011
GUERRA???????NO GRAZIE
Campagna di mobilitazione
stop alla produzione dei cacciabombardieri F35
Descrizione della campagna e materiali per contribuire
L’Italia spenderà 15 miliardi per nuovi aerei da guerra F35. Pax Christi Italia lancia una campagna di mobilitazione per chiedere di sospendere la partecipazione al progetto dei cacciabombardieri F35. Chiede a tutti di scrivere ai parlamentari anche in vista della discussione sugli F35 che ci sarà in Parlamento verso la metà di marzo. Invece di investire nella scuola, nell'università, nella ricerca, per il terzo settore e per la cooperazione internazionale, si investe incredibilmente in nuovi armamenti. L'art. 11 della nostra Costituzione “ripudia la guerra…”. “La corsa agli armamenti... è un’aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame ". (La Santa Sede e il disarmo generale, 1976)
Sì, è ancora possibile fermare questo progetto, altre nazioni lo hanno fatto. È ancora possibile non oscurare il sogno di Isaia “forgeranno le spade in aratri… non si eserciteranno più nell’arte della guerra”. Invertiamo la rotta!! Perchè la guerra è ‘avventura senza ritorno’.
Qui a lato è possibile scaricare il volantino con tutte le informazioni e il testo della lettera da spedire ai parlamentari.
Oppure telefonando a: Segreteria Nazionale Pax Christi tel. 055-2020375 e-mail: info@paxchristi.it
Per saperne di più: http://www.disarmo.org/rete/a/29509.html
NOI SIAMO CONTRO OGNI TIPO DI GUERRA...................SIA CHIARO!!!!!!!
Amici di Bedanda
martedì 8 febbraio 2011
E LA STORIA CONTINA......................
Kenya
Baba Yetu, Padre nostro
Quotidianità della casa di accoglienza di Soweto, baraccopoli alla periferia di Nairobi.
Gian Paolo Chiecchi (Casco Bianco a Nairobi, Kenya)
Qualcuno l’ha definito un porto di mare, qualcun’altro un dispensario di speranze. Senza dubbio è un punto di riferimento per le persone di Soweto che non mancano mai di essere presenti, di chiedere, a volte anche di pretendere. D’altronde l’hanno visto crescere dall’interno, l’hanno accompagnato nel modificarsi ed evolversi. Con il passare degli anni ha preso sempre più forma ed ora muove i suoi passi da solo. “Baba Yetu” che in lingua Swahili significa “Padre Nostro” è il nome della casa-missione nella quale vivo insieme ad altri volontari che hanno scelto di trascorrere qui un’esperienza più o meno lunga. Le mura di fango e legno sostengono le pareti dove manca la lamiera arrugginita. Questo scheletro fragile racchiude un tesoro prezioso...le storie di molte persone. Infatti prima ancora che il sole sorga, Soweto è gia sveglia. E prima che la maggior parte di noi si alzi dal letto c’è già una fila di donne fuori dalla porta in attesa di un lavoro. Lavorare in “Baba Yetu” significa ricevere un salario buono, non avere ritmi stressanti, ma soprattutto fare qualcosa per gli amici della missione. Così c’è sempre una calca di persone che sperano di essere scelte da Macharia, un signore che ci aiuta. A rotazione si cerca di dare un po’ di lavoro a tutti senza preferire uno o l’altro. E dal momento in cui vengono scelti alcuni di loro comincia il via-vai che terminerà la sera. Da una parte è un dono poter incontrare così tante persone, dall’altra ti accorgi che il peso che portano, delle volte è grande e ti scende un po’ di tristezza.

Nairobi, 2007. Foto di Gian Paolo Chiecchi.
In Baba Yetu la mattina è in prevalenza il turno dei malati. Mamme giovani e premurose, portando i loro piccoli sulla schiena, chiedono di poter essere viste da un dottore o di poter andare in qualche ospedale per un controllo. Questi pargoletti moccolosi a volte si spaventano alla vista di un bianco e piangendo danno voce alla casa. Le madri cercano di calmarli con più o meno successo, mentre noi scegliamo le medicine o il provvedimento migliore per aiutarle in modo adeguato. Nel frattempo entra dalla porta, sempre aperta, il vecchietto dal nome impronunciabile che ti vende le banane. Ti viene in mente che ne hai già a sufficienza e ti dispiace dirgli di no. Così, magari, opti per comprargliene la metà anziché tutte, e non sai come farglielo capire perché non conosce una parola di inglese. Sai che per lui un “no”, significherebbe quasi un’offesa più che un rifiuto e allora con un sorriso gli spieghi come stanno le cose. E nel frattempo, come un vero porto di mare, la signora del pesce (Mama Samaki) ti porta 3 kg di questo come da accordi e dietro di lei si intrufola il solito ubriacone di turno, creando un po’ di proteste e scompiglio tra le persone presenti. Così, mentre prendi il pesce e lo porti in cucina ti si mette davanti Bernard, il bimbo di una cuoca, che tendendoti la mano ti mostra un tappo di bottiglia. In quel momento diventa lui la persona più importante della casa e non puoi rifiutargli una carezza. Metti una mano in tasca e tiri fuori una caramella che diventa subito molto più importante del tappo trovato in qualche angolo oscuro della cucina. La mamma del bimbo moccoloso reclama anche lei una “sweet” per il suo pargoletto, che sarà pur malato ma la forza per ciucciare una caramella ce l’ha sempre. Ti giri e scopri che l’ubriaco si è comodamente seduto sul divano e con aria soddisfatta si guarda intorno cercando invano di attaccare bottone con qualcuno a caso. Uno dopo l’altro si cerca di dare una risposta a tutti.
Tra i vari incontri ce n’è uno che mi smuove il cuore ogni volta. Ed è quello con la piccola Waithera, che con i suoi occhioni grandi e un sorriso gigante, le mancano i 4 denti incisivi, mi chiede “Gianpi, give me baloon”. E a lei so che non posso dirle di no, perché mi ci sono affezionato tanto, e anche perchè ora ha imparato a chiedermi “please”.
E così tra tanti incontri si strappano sorrisi e qualche lacrima a coloro che passano a bussare alla porta di “Baba Yetu”. Provare a mettersi a servizio non significa perderci, ma in questo caso si vince sempre. Si vince uno sguardo, un sorriso, che valgono molto di più di una lotteria. E nella lotteria di Baba Yetu i premi sono le emozioni che ogni giorno ti riempiono il cuore di gioia attraverso coloro che bussano alla porta
Amici di Bedanda
mercoledì 26 gennaio 2011
LA GUINEA BISSAU..............
LA REPUBBLICA DELLA GUINEA BISSAU


E' TRA I PAESI PIU' POVERI DELLA TERRA
ED E’ CONSIDERATO DALL’O.N.U. QUARTO MONDO.
La sua travagliata storia ha sepolto le aspettative di un futuro degno di essere vissuto. Lo sfruttamento delle risorse umane ha profondamente segnato la crescita fisiologica di questa popolazione che, oppressa dalla schiavitù, non è stata in grado di progredire ed avere una stabilità economica, politica e amministrativa.
La precarietà nutrizionale, che si traduce in un deficit alimentare, è crescente. Il fenomeno di un pasto quotidiano, forse è una delle manifestazioni più visibili della povertà in Guinea Bissau, tanto nel mondo rurale, quanto nei centri urbani.
Attualmente questa nazione si trova a dover affrontare enormi problemi che le impediscono di essere un Paese autosufficiente.
La sua economia è alquanto deficitaria tanto da ostacolarne prepotentemente uno sviluppo durabile.
Gli scambi commerciali interni sono esigui a causa di una pressoché inesistente circolazione di denaro, in molte zone , infatti, vige ancora l’uso del baratto!
L’agricoltura si basa su una tecnologia insussistente e viene attuata con mezzi a dir poco rudimentali. Il prodotto ottenuto non copre nemmeno il fabbisogno alimentare interno, anche se , ben il 90% della popolazione è dedita a quest’attività.
Anche la pesca e l'allevamento sono concepite con una dinamica del piccolo scambio o comunque per una dimensione famigliare. La mancanza di comunicazioni efficienti sembra isolare la Guinea Bissau da tutti i principali circuiti di interazione e commercio con l'Estero. Il dominio coloniale ha impostato verso attività funzionali per i propri interessi, la già debole economia guineense minando i fragili equilibri di produzione di questo Paese e condannandolo ad una condizione di sottosviluppo.
L'esplosione demografica, non sorrettta da un'agricoltura sufficientemente produttiva, l'instabilità politica, l'irrazionale gestione delle risorse interne e degli investimenti stranieri, hanno oltremodo ostacolato la crescita di questa Nazione.
Questi problemi hanno obbligato la Guinea Bissau a dipendere dall'aiuto finanziario e tecnico dei Paesi industrializzati, aumentando il proprio debito con l'Estero.
In realtà la Guinea Bissau richiama la situazione di molte Nazioni dell'Africa che vivono in bilico tra l'eredità di un passato coloniale e l'amara realtà del presente con le sue incertezze e la sua totale precarietà senza trovare il giusto orientamento verso uno sviluppo economico e sociale adeguato.
Un abbraccio a tutte le suore francescane di Cristo Re di Venezia sparse in tutto il mondo..........
il nostro "GRAZIE di ESISTERE"
AMICI di BEDANDA
sabato 22 gennaio 2011
STORIE D'AFRICA
Roberto al lebbrosario di Adzopé
Roberto al lebbrosario di Adzopé: Una semplice lezione di vita.
Roberto Buzio di Omegna, sposato con una ivoriana, alla fine del 2008 ha trascorso 10 giorni indimenticabili con P. Francesco Arnolfo, P. Gino Sanavio presso i malati dell’Istituto Raoul Follereau d’ Adzopé in Costa d’Avorio. Ci rilascia la sua testimonianza.
Ricorderò sempre la piccola Letizia di 5 anni, lontana da casa da parecchi mesi e in attesa di visite (la sua famiglia abita a Sassandra a circa 400 km!), sempre con il sorriso sulle labbra nonostante le sue piccole stampelle rosse.
Il piccolo Angelò ricoverato al blocco operatorio, assistito tutto il giorno dalle sue sorelline (la più grande avrà avuto forse 10 anni!), poiché i genitori erano al lavoro. Le due gemelline Déborah e Eve obbligate a condividere la vita del Lebbrosario “per colpa” della loro madre ricoverata. Josiane, 12 anni, che ha abbandonato la scuola per prendersi cura di sua mamma. Ho ricevuto molto da loro. Bastava alzare una mano per salutarli e vedere ricambiato il tuo saluto con un gran sorriso, anche da chi non ti ha mai visto prima. Indimenticabile.
Altro momento indimenticabile è stato il giorno della festa di Cristo Re dell’Universo; prima la messa celebrata da P. Francesco e da P. Gino, dove anche il malato più deturpato dalla malattia, con mille sforzi, si inginocchiava dinnanzi alla croce e ringraziava con tutto il suo cuore il Signore!. Poi la processione per le vie del Lebbrosario, tra un reparto e l’altro, a portare la benedizione a chi non poteva alzarsi dal letto, ascoltando i canti e i suoni di gioia e di ringraziamento degli abitanti del villaggio Duquesne-Cremone, annesso all’Istituto.
Ricordo la mia commozione quando la mattina della mia partenza Suor Redenta mi ha “invitato” a salutare per l’ultima volta i bambini all’interno della loro scuola. Mi hanno regalato una lettera di ringraziamento con tutti i loro nomi, che custodirò per sempre e che mi servirà per affrontare momenti e/o situazioni di difficoltà. Mi rimarrà nel cuore la frase con cui Franckel mi ha salutato: “Dio ha visto cosa hai fatto per i bambini in questi giorni , e non lo dimenticherà!”.
L'11 febbraio 2009 ho fondato, con mio padre, mio fratello, e una decina di amici tra cui Don Domenico Piatti, amico di padre Silvano Galli una Onlus. L'ho chiamata "LE PAGNE DE LETIZIA".
Roberto Buzio di Omegna, sposato con una ivoriana, alla fine del 2008 ha trascorso 10 giorni indimenticabili con P. Francesco Arnolfo, P. Gino Sanavio presso i malati dell’Istituto Raoul Follereau d’ Adzopé in Costa d’Avorio. Ci rilascia la sua testimonianza.
Ricorderò sempre la piccola Letizia di 5 anni, lontana da casa da parecchi mesi e in attesa di visite (la sua famiglia abita a Sassandra a circa 400 km!), sempre con il sorriso sulle labbra nonostante le sue piccole stampelle rosse.
Il piccolo Angelò ricoverato al blocco operatorio, assistito tutto il giorno dalle sue sorelline (la più grande avrà avuto forse 10 anni!), poiché i genitori erano al lavoro. Le due gemelline Déborah e Eve obbligate a condividere la vita del Lebbrosario “per colpa” della loro madre ricoverata. Josiane, 12 anni, che ha abbandonato la scuola per prendersi cura di sua mamma. Ho ricevuto molto da loro. Bastava alzare una mano per salutarli e vedere ricambiato il tuo saluto con un gran sorriso, anche da chi non ti ha mai visto prima. Indimenticabile.
Altro momento indimenticabile è stato il giorno della festa di Cristo Re dell’Universo; prima la messa celebrata da P. Francesco e da P. Gino, dove anche il malato più deturpato dalla malattia, con mille sforzi, si inginocchiava dinnanzi alla croce e ringraziava con tutto il suo cuore il Signore!. Poi la processione per le vie del Lebbrosario, tra un reparto e l’altro, a portare la benedizione a chi non poteva alzarsi dal letto, ascoltando i canti e i suoni di gioia e di ringraziamento degli abitanti del villaggio Duquesne-Cremone, annesso all’Istituto.
Ricordo la mia commozione quando la mattina della mia partenza Suor Redenta mi ha “invitato” a salutare per l’ultima volta i bambini all’interno della loro scuola. Mi hanno regalato una lettera di ringraziamento con tutti i loro nomi, che custodirò per sempre e che mi servirà per affrontare momenti e/o situazioni di difficoltà. Mi rimarrà nel cuore la frase con cui Franckel mi ha salutato: “Dio ha visto cosa hai fatto per i bambini in questi giorni , e non lo dimenticherà!”.
L'11 febbraio 2009 ho fondato, con mio padre, mio fratello, e una decina di amici tra cui Don Domenico Piatti, amico di padre Silvano Galli una Onlus. L'ho chiamata "LE PAGNE DE LETIZIA".
Cosa sta a significare?
Letizia è la piccola malata a cui mi sono più affezionato durante il mio soggiorno al lebbrosario; come si vede dalla foto, porta un vestitino che le ho comprato al mercato coperto di Adzope e in testa un fazzoletto, ricavato dal pagne che comprai allo stesso mercato per mia madre. Lei e gli altri bambini hanno voluto che io tagliassi il pagne a fazzoletti, o meglio a forma di bandana, per ricordarsi di me e viceversa. Detto e fatto. Il giorno della mia partenza si sono presentati tutti con in testa la loro bandana e la scena mi ha talmente emozionato e mi è entrata dritta al cuore. Da li è nato tutto.
Storie d'Africa e dei suoi missionari
amici di Bedanda
giovedì 20 gennaio 2011
25° ANNI A BEDANDA
SONO TRASCORSI 25 ANNI QUANDO LE SUORE FRANCESCANE DI CRISTO RE DI VENEZIA INTRAPRESERO LA VIA DELLA GUINEA BISSAU, UN PICCOLO PAESE DELL'AFRICA EQUATORIALE
NEI CENTRI DI BEDANDA E BRA' QUESTE SUORE HANNO FATTO UN GRANDISSIMO LAVORO, AIUTANDO LA GENTE DEL POSTO E GARANTENDO A TUTTI UNA VITA DIGNITOSA
IL LORO AMORE E SACRIFICIO VA RICONOSCIUTO !!!!!
NOI VOLONTARI LAICI AVVICINATI DA QUESTE GRANDISSIME ESPERIENZE CERCHEREMO IN OGNI MODO DI CONTRIBUIRE AL GRANDE LAVORO DI QUESTE RELIGIOSE CON LA
CONSAPEVOLEZZA CHE I LORO OBIETTIVI DOVRANNO REALIZZARSI.
IL GRUPPO DI TUTTE QUESTE PERSONE E' DENOMINATO:
"CERCU IABRI"
SUORE FRANCESCANE DI CRISTO RE
BEDANDA-BRA'
GUINEA BISSAU
OGGI METTIAMO DELLE FOTO DEL PASSATO, CON LA SPERANZA DI UN GRANDE FUTURO
NEI CENTRI DI BEDANDA E BRA' QUESTE SUORE HANNO FATTO UN GRANDISSIMO LAVORO, AIUTANDO LA GENTE DEL POSTO E GARANTENDO A TUTTI UNA VITA DIGNITOSA
IL LORO AMORE E SACRIFICIO VA RICONOSCIUTO !!!!!
NOI VOLONTARI LAICI AVVICINATI DA QUESTE GRANDISSIME ESPERIENZE CERCHEREMO IN OGNI MODO DI CONTRIBUIRE AL GRANDE LAVORO DI QUESTE RELIGIOSE CON LA
CONSAPEVOLEZZA CHE I LORO OBIETTIVI DOVRANNO REALIZZARSI.
IL GRUPPO DI TUTTE QUESTE PERSONE E' DENOMINATO:
"CERCU IABRI"
SUORE FRANCESCANE DI CRISTO RE
BEDANDA-BRA'
GUINEA BISSAU
OGGI METTIAMO DELLE FOTO DEL PASSATO, CON LA SPERANZA DI UN GRANDE FUTURO
amici di Bedanda
martedì 18 gennaio 2011
LETTERA DI SUOR ALMA CHIARA

Bedanda 20/08/2009
Miei carissimi amici del gruppo Missionario P. Sergio, prendo un poco del mio tempo per raggiungervi con le mie notizie. Anzitutto un sentito e riconoscente ringraziamento per l'ultima offerta che ci avete inviato, il Signore Dio datore di ogni bene vi ricompensi con le sue grazie divine. I soldi li abbiamo messi subito in funzione mediante un progettino di pesca per dare possibilità ai ragazzi di aiutare la famiglia, ed una parte per supplire alla mancanza di riso di alcune famiglie più povere. Ora alcune notizie di "Tabanca" villaggio...
A Bedanda mi sento a casa, ringrazio il Signore per la salute e la disponibilità che mi dona nei confronti di questi fratelli: con loro prego e soffro, condivido gioie e dolori, sacrifici e piccole soddisfazioni, amore espresso in gesti caritativi, cerchiamo di dare vita al Vangelo di Gesù. In questo tempo di vacanze che corrisponde al tempo delle piogge, tutti sono molto impegnati nei lavori delle risaie e dei campi. Al Signore chiediamo abbondante pioggia, per ottenere un buon raccolto, sufficiente alla sopravvivenza.
I ragazzi che studiano fuori sono ritornati per aiutare i genitori nei lavori dei campi, con loro Bedanda ha preso nuova vitalità. Sono giovani vivaci impegnati nel bene, la domenica è una vera festa, animano la S.Messa con devozione e solennità, fanno tornei di calcio, piccoli servizi di volontariato, chiedono incontri formativi per saziare il desiderio di sapere... al mattino un piccolo gruppetto viene a pregare le lodi con noi. L'altro giorno sotto una pioggia torrenziale hanno pulito tutta la piazza di Bedanda, si sono organizzati per la pulizia della chiesa e della sala dove fanno gli incontri... Per tutto questo, siamo grate al Signore e lo lodiamo, riconoscenti per questi piccoli passi di un popolo sfruttato, sofferente che vive ancora nella lotta di sopravvivenza. Concludo con la richiesta di preghiere, affinchè il Signore ci incontri disponibili alla sua volontà e a glorificarlo con la vita.
Anche noi promettiamo la nostra preghiera... Saluto con riconoscenza, simpatia e affetto
Sr. Alma Chiara
I ragazzi che studiano fuori sono ritornati per aiutare i genitori nei lavori dei campi, con loro Bedanda ha preso nuova vitalità. Sono giovani vivaci impegnati nel bene, la domenica è una vera festa, animano la S.Messa con devozione e solennità, fanno tornei di calcio, piccoli servizi di volontariato, chiedono incontri formativi per saziare il desiderio di sapere... al mattino un piccolo gruppetto viene a pregare le lodi con noi. L'altro giorno sotto una pioggia torrenziale hanno pulito tutta la piazza di Bedanda, si sono organizzati per la pulizia della chiesa e della sala dove fanno gli incontri... Per tutto questo, siamo grate al Signore e lo lodiamo, riconoscenti per questi piccoli passi di un popolo sfruttato, sofferente che vive ancora nella lotta di sopravvivenza. Concludo con la richiesta di preghiere, affinchè il Signore ci incontri disponibili alla sua volontà e a glorificarlo con la vita.
Anche noi promettiamo la nostra preghiera... Saluto con riconoscenza, simpatia e affetto
Sr. Alma Chiara
SALUTIAMO LE VOLONTARIE BARBARA E PINA CHE SI TROVANO A BEDANDA IN QUESTO MOMENTO PER PORTARE UN PO' DI CONFORTO AGLI ABITANTI DEL POSTO......UN SALUTO ALLE SUORE FRANCESCANE PRESENTI
amici di Bedanda
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